Tre aggettivi: psicologico, angosciante, però deludente
La trama in breve: Camille è una giornalista che cerca di farsi strada a Chicago. Un giorno, il suo capo le fa una proposta: tornare nella cittadina dov’è nata, per scrivere un articolo sulla scomparsa di una bambina.
È un’ottima occasione per la carriera di Camille. Purtroppo, tornare a casa significa anche affrontare la sua famiglia, e il suo passato doloroso.
La recensione: Mi aspettavo molto di più. Per prima cosa, devo dire che a mio parere Camille non è una protagonista molto ben riuscita. È evidente che Gillian Flynn voleva creare un personaggio molto influenzato dai traumi del suo passato, però Camille non ha nessun’altra caratterizzazione a parte “traumatizzata”. Le persone traumatizzate hanno comunque delle complessità, ma Camille no.
Allo stesso modo, anche l’indagine sulla scomparsa di Natalie Keene è trattata in modo piuttosto superficiale e deludente, in quanto in effetti Camille non indaga quasi per niente: più che altro passa il tempo a bere, oppure a parlare con vecchie conoscenze del liceo, giudicando mentalmente le loro scelte di vita.
Non so. Volevo un thriller intrigante con personaggi sfaccettati e profondi, che parlasse di legami familiari e seguisse un’indagine eccitante. Invece l’indagine è molto insipida, e i personaggi anche.
La prosa è un po’ zoppicante, per i miei gusti. Ho una particolare antipatia per le frasi troppo brevi, sono una scorciatoia per dare enfasi nel modo più facile possibile: “Sono un caso molto, molto speciale. Perché ho uno scopo. La mia pelle, dovete sapere, urla. È coperta di parole”. È così bello invece quando la prosa ha un po’ più di eleganza.
Da evitare se: Evitate pure, senza troppi problemi.
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