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Immagine del redattorebertoccielena

Scene di Azione

Io ricordo, e forse come me anche molti altri lettori, con precisione di essere rimasta tante volte confusa, di fronte ad una scena d’azione in un romanzo. Confusa, perché non era ben chiaro cosa stesse succedendo, chi stesse avendo la meglio, quale fosse la gravità della scena. E anche, a volte, annoiata, quando la scena in questione veniva resa come un semplice elenco di azioni, senza ritmo né sentimento.

È più raro, per me, trovare quei libri in cui la scena d’azione non è il punto debole, ma anzi, ha un magnetismo suo, cattura la mente e il cuore quasi più delle altre parti del romanzo.

Perché questo riesca, ci sono così tante cose da considerare: è necessario descrivere bene l’ambiente, altrimenti il lettore non capisce le dinamiche della scena…tuttavia, una descrizione troppo lunga e dettagliata spezza il ritmo e perde l’attenzione del lettore. Bisogna descrivere le azioni dei personaggi in modo che comunichino l’intenzione giusta: c’è vero pericolo, in questa azione? C’è da avere davvero paura? È una scena terrificante, oppure è più divertente e avventurosa?

Infine, in ogni scena d’azione è fondamentale tenere a mente il rapporto che c’è fra i personaggi coinvolti. I sentimenti possono essere di natura molto diversa: rivalità, rabbia, vendetta, cameratismo, rispetto, terrore, piacere.

In fondo, siamo qui per i personaggi, sempre e come prima cosa. Dobbiamo sapere chi combatte, e per cosa, e cosa significa questa lotta per le persone coinvolte.

Emergono allora alcuni elementi che possiamo usare, per creare scene d’azione indimenticabili.



1)UN PO’ DI CHIAREZZA


Il Dwenda strillò – la sua voce era come i rintocchi d’una campana d’argento – e avanzò attaccando da sinistra. Ringil parò, bloccò entrambe le lame in alto, si fece avanti e sferrò un calcio all’altezza del ginocchio. Tecnica da delinquente di strada, robaccia da risse da taverna; in mezzo alla scrosciante radiosità blu, sentì che il bordo del suo stivale aveva colpito qualcosa. Il Dwenda emise un suono stridulo e vacillò. Con uno strattone, Ringil liberò la lama dalla morsa e cercò di colpire all’altezza della vita. Il suo avversario fece un balzo indietro per evitare il fendente. Ringil incalzò, invertendo la rotazione per calare la lama dall’alto. Il Dwenda parò, veloce come una frustata, arrestando di colpo l’Amica dei Corvi. Rispose con un fendente dal basso, tanto veloce che Ringil non fece in tempo a rimettere le spade in posizione. Con uno scatto spostò la testa all’indietro, sentì la lama del Dwenda che gli sfiorava il viso con un sibilo, lasciandosi dietro una folata fredda e un tenue sentore crepitante. La risata del fantasma gorgogliò, ma a Ringil sembrò che adesso fosse più tagliente, come qualcuno che debba confrontarsi con uno sforzo inatteso e inizi a divertirsi un po’ meno.

("L'acciaio Sopravvive", di Richard K. Morgan)


Grazie Richard K. Morgan per avermi permesso di avere un quadro chiaro della scena.

Si tratta del duello fra un umano e un Dwenda, una specie di spirito. La scena ha un ottimo ritmo, perché è strutturata come una conversazione: è una serie di affermazioni e di risposte, e ogni volta che si va da un personaggio all’altro, il passaggio è segnalato da un punto fermo.

“Il Dwenda emise un suono stridulo e vacillò. Con uno strattone, Ringil liberò la lama dalla morsa e cercò di colpire all’altezza della vita. Il suo avversario fece un balzo indietro per evitare il fendente”. Questo uso della sintassi rende molto chiaro al lettore che si tratta di uno scambio fra due personaggi, che comunicano con fendenti e parate.

La descrizione delle azioni è semplice e diretta, perfettamente chiara: mai in tutta la scena si ha la sensazione di aver perso il filo, di non sapere chi sta facendo cosa.

Le considerazioni di Ringil, poi, ci rendono chiaro che tipo di rapporto si sta creando fra i due combattenti: quello che era iniziato come uno scontro impari, fra un essere superiore e un semplice umano, si evolve in una rivalità paritaria, fra due grandi combattenti pronti a tutto: “La risata del fantasma gorgogliò, ma a Ringil sembrò che adesso fosse più tagliente, come qualcuno che debba confrontarsi con uno sforzo inatteso e inizi a divertirsi un po’ meno”.



2)UN PO’ DI PAURA


L’Uzi imbracciato da Richard tossì un’altra breve scarica prima di zittirsi, avendo consumato tutti i colpi. Reuel si liberò dalla mano di suo padre. Sempre miagolando, si lanciò verso il treno. Rovesciò il labbro superiore mostrando denti lunghi che sembravano falsi e friabili, come quelli di cera che si mettono i bambini a Halloween.

L’ultima scarica di Richard lo raggiunse al petto e al collo aprendo fori nel pullover che indossava, scavando lunghi solchi nelle sue carni. Da queste ferite affioravano rivoli collosi di sangue scuro. Ma i proiettili non ebbero altro effetto. Forse un tempo Reuel era stato anche umano, era possibile, ma non lo era certamente più. Le pallottole non lo avevano nemmeno rallentato. La creatura che scavalcò con un balzo maldestro il corpo inerte di Elroy era un demone. Puzzava come un rospo.

[…]

Richard lasciò cadere l’Uzi e indietreggiò barcollando, portandosi le mani alla faccia. Con orrore fissava Reuel fra le dita.

“Non lasciare che mi prenda, Jack! Non lasciare che mi prendaaaa!”

("Il Talismano", di Stephen King)


Trovandosi in una situazione di pericolo fisico, una delle reazioni principali è sicuramente la paura. Non è male, perciò, inserire caratteristiche horror nelle nostre scene d’azione.

Stephen King, com’è ovvio, lo fa con molta abilità. L’estratto in questione proviene da “Il Talismano”, e vede gli amici Jack e Richard che devono vedersela con un essere non del tutto umano di nome Reuel.

Reuel è descritto con termini animaleschi (“Sempre miagolando, si lanciò verso il treno”; “Puzzava come un rospo”), per sottolineare la sua natura estranea e sconvolgente. Viene chiamato “demone”, o “la creatura”. Ha denti lunghi, sangue colloso, e non è disturbato dalle pallottole.

Più di tutto, però, a comunicare il senso di terrore sono le azioni di Richard:

Richard lasciò cadere l’Uzi e indietreggiò barcollando, portandosi le mani alla faccia. Con orrore fissava Reuel fra le dita.

“Non lasciare che mi prenda, Jack!”


King, come suo solito, dà efficacia alle sue scene usando gesti che ci sono familiari. Chi non conosce la sensazione di guardare un film spaventoso attraverso le dita? Il fatto che sia un’azione conosciuta ce la fa comprendere, e poi la sua gravità è ampliata al massimo dal fatto che per Richard non è un film, è la realtà. Orrore vero.



3)UN PO’ DI UMORISMO


Quando si trattava di andare avanti, Neal non era un granché come guidatore. All’indietro era un disastro totale. Provò a frenare quando vide Colin, ci provò sul serio. Ma se schiacci il piede sull’acceleratore invece che sul freno, in realtà vai più veloce.

[…] La piccola macchina sportiva continuava a inseguirlo come se avesse una calamita attaccata al culo.

Neal in realtà stava cercando di fare il contrario, ma era proprio quello il problema. In retromarcia avrebbe dovuto pensare alla rovescia, ma non ci riusciva, soprattutto a quella velocità. Così, ogni volta che cercava di sterzare per evitare Colin, gli andava addosso.

("London Underground", di Don Winslow)


Immaginate Neal, un detective privato che non è per niente bravo a guidare la macchina. Ora, il nostro buon detective sta portando in salvo una ragazza, e sta cercando di scappare da Colin, un tipo piuttosto pericoloso.

Neal è in macchina, potrebbe semplicemente andarsene via, non ha nessuna intenzione di investire Colin: per pura incapacità, però, continua ad inseguirlo per sbaglio.

L’assurdità della situazione è comunicata dal tono colloquiale del narratore, che si rivolge direttamente a noi lettori, quasi dicendo “guardate un po’ che incapace”:

“se schiacci il piede sull’acceleratore invece che sul freno, in realtà vai più veloce”.



Ci sono dunque tanti diversi sapori che può assumere una scena, dalla comicità più sarcastica all’orrore più puro. L’unico sapore davvero da evitare è quello insipido della banalità.



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