top of page
Cerca
Immagine del redattorebertoccielena

Maus di Art Spiegelman

Tre aggettivi: commovente, intimo, delicato


La trama in breve: Art Spiegelman è un fumettista che chiede a suo padre Vladek di raccontagli com’è stato vivere in Polonia durante l’Olocausto, ed essere mandato ad Auschwitz. E così Art mette su pagina il racconto di Vladek, inserendo anche le scene al giorno d’oggi che mostrano com’è diventato suo padre, e che effetto ha avuto la guerra su di lui, e su suo figlio.


La recensione: “Maus” contiene molte idee geniali. La più evidente è quella di essere una graphic novel sull’Olocausto, dove gli ebrei sono rappresentati come topi e i tedeschi come gatti. Piuttosto d’effetto.

Ma forse la cosa che io preferisco di Maus, la cosa che immediatamente mi ha conquistata e che gli ha garantito un posto nel mio cuore, è che non è solo la storia di Vladek Spiegelman, sopravvissuto ad Auschwitz: è soprattutto la storia di suo figlio, cresciuto in America dopo la guerra, in pace e sicurezza, ma da genitori che hanno subito gli orrori peggiori. Art chiede, fa domande, discute, e Vladek racconta, e critica, e si arrabbia. Sono scene di realtà familiare che rendono Art e Vladek veri, e comprensibili per il lettore: forse non possiamo sapere com’è sopravvivere all’Olocausto, ma sappiamo com’è bisticciare con un parente, o irritarsi con i propri genitori per le loro fissazioni, e vivere quel delicato equilibrio fra affetto e allontanamento. È una cosa in cui Art Spiegelman è maestro: trova dei dettagli universali che rendono immediatamente comprensibile la storia che racconta.

Come si può comprendere che cosa significa essere rinchiusi in un campo di concentramento? Non si può. Non c’è metro per giudicare una cosa del genere. Allora Spiegelman ci lascia dei piccoli frammenti concreti, comprensibili, per farci capire.

Come la storia di Mandelbaum, a cui avevano dato un’uniforme fuori misura. Aveva i pantaloni troppo larghi, e una scarpa troppo piccola. Allora Mandelbaum andava sempre in giro reggendosi i pantaloni con una mano, e tenendo la scarpa nell’altra. E al momento del pasto, non aveva mani libere per prendere la ciotola di zuppa:


“Ho anche versato quasi tutta la zuppa. Poi l’ho richiesta, e m’hanno picchiato! Tengo stretta la ciotola e la scarpa casca. Raccolgo la scarpa e mi cadono i pantaloni. Ma che posso fare? Ho solo due mani! Dio mio, ti prego, Dio…aiutami a trovare uno spago e una scarpa giusta!”


Sappiamo cosa si prova ad avere le mani troppo occupate, è una sensazione molto concreta. Possiamo allora cominciare ad immaginare come sia avere sempre le mani occupate, senza poter mangiare, senza poter riposare, senza poter mai appoggiare il piede in terra. L’appello disperato di Mandelbaum, di fronte a un problema che sarebbe così semplice da risolvere, spezza il cuore.

È un libro commovente, e dolce, e intimo. Forse, più di tutto, è un libro semplice: non cerca di dare risposte né di esprimere grandi verità, ma cerca invece di raccontare la vita di un padre e un figlio, persone vere con pregi e difetti, che hanno vissuto cose vere e ne sono usciti cambiati.

Non c’è altro da aggiungere, perché il resto è bene che ognuno lo scopra da sé, gustando le emozioni di ogni pagina. Inutile dire che lo consiglio a tutti.


Da evitare se: In nessun caso.



Immagine di Art Spiegelman

6 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


Post: Blog2_Post
bottom of page